Teologia cristiana e vita extraterrestre – Prima Parte

header-foto.jpgPresentiamo un prezioso contributo del prof. Giuseppe Tanzella-Nitti, sacerdote e docente di Teologia fondamentale presso la Pontifica Università della Santa Croce. Da sempre interessato al dialogo interdisciplinare tra scienza e fede, è curatore del portaleDocumentazione Interdisciplinare tra Scienza e Fede. Di seguito un’ampia riflessione sulle sfide della teologia cristiana di fronte alla possibilità della vita extraterrestre – PRIMA PARTE – 

Il tema della presenza di vita, in particolare di altre creature intelligenti, in ambienti diversi da quello terrestre, non ha mai costituito uno speciale terreno di speculazione teologica, né esistono insegnamenti del magistero ecclesiale in proposito. La sacra Scrittura, pur presentando l’azione di Dio ed i suoi rapporti con l’umanità in un contesto certamente cosmico, non ne fa menzione. Una pagina del vangelo di Giovanni, che alcuni autori amano citare come una possibile eccezione: “e ho altre pecore che non sono di quest’ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge ed un solo pastore” (Gv 10,16), resta certamente suggestiva, ma non offre in realtà alcuna seria base di discussione esegetica in tal senso. I riferimenti ad alcuni precedenti, storici o di dibattito teologico, non  possono essere pertanto che frammentari.

Cenni storici ai rapporti col pensiero cristiano

teologia,cristianesimo,vita extraterrestreUno dei primi dati disponibili risale ad una lettera di Papa Zaccaria (741-752), nella quale si menziona che il presbitero Virgilio stava insegnando una dottrina sulla pluralità di mondi abitati. Zaccaria non accettava l’idea che vi siano abitanti agli antipodi, sulla luna o sul sole. Il motivo dottrinale che soggiace ad un simile richiamo è semplicemente quello evitare di introdurre elementi di novità che, ponendo in discussione l’unicità del genere umano, renderebbero più complessa la comprensione dei rapporti con Dio e con il peccato originale di quei viventi che non fossero discendenti di Adamo. Al contrario, secoli più tardi, allo scopo di proteggere la libertà e l’onnipotenza del Creatore, il vescovo di Parigi E. Tempier condannò nel 1277 la proposizione di tradizione aristotelica che negava alla Causa Prima la possibilità di creare molti mondi, senza menzionare, tuttavia, nulla dei loro possibili abitanti.

Alcuni anni prima, alla questione se esistessero molti mondi, Tommaso d’Aquino (1224-1274) aveva dato risposta nella Summa theologiae dicendo che ne esisteva uno solo. Ma il dibattito medievale sulla molteplicità dei mondi non era direttamente utilizzabile per conoscere quale fosse la posizione della teologia nei confronti della vita extraterrestre. Il concetto di “molti mondi” non equivaleva infatti a ciò che noi intendiamo oggi quando parliamo di diversi pianeti, eventualmente abitati. L’unità del mondo si riferiva piuttosto all’unità dell’Universo. Nel pensiero di Tommaso e di altri medievali, essa discendeva dall’unità del suo Creatore e dall’unità della sua causalità finale esercitata su tutto ciò che esiste. Nella citata quaestio, l’Aquinate associa infatti l’idea di una  pluralità dei mondi ai fautori del caso i quali, come Democrito, negavano una sapienza ordinatrice. Il monito di Tempier, nel quale il concetto di mundus non coincideva totalmente con l’uso fattone da Tommaso, intendeva essere solo un correttivo di carattere accademico, piuttosto che un intervento ecclesiale in senso stretto, allo scopo di mantenere inalterati i caratteri del Creatore, e ciò non tanto nella sfera del reale, quanto in quella del possibile.

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Il dibattito attorno al sistema eliocentrico non ebbe ripercussioni ufficiali sul nostro tema. Alcuniecclesiastici, manifestando in questo una loro opinione personale, ritennero che ribassare la Terra alla stregua degli altri pianeti avrebbe potuto condurre alcuni spiriti innovatori a spingersi ancor più in là, fino ad ammettere anche in quelli degli abitanti, con le conseguenze che già aveva intravisto papa Zaccaria nel secolo VIII. Lo manifestano così una lettera dell’abate Giovanni Ciampoli inviata a Galileo il 28 febbraio 1615.

Tutto il secolo XVII risulta caratterizzato da un generale atteggiamento di prudenza, come dimostra anche il fatto che il libro di Bernard le Bovier de Fontenelle, Entretiens sur la pluralité des monds fu inizialmente inserito, nel 1687, nell’Indice dei libri proibiti. Nel XVIII secolo il clima teologico pare cambiare. Non si offrono soluzioni per risolvere o inquadrare i problemi dogmatici che la vita extraterrestre porrebbe alla cristianità, ma il tema viene visto con maggiore apertura e senza speciali timori, sottolineando in primo luogo la grandezza del Creatore e l’insondabilità dei suoi piani sull’intero universo. 

L’apologetica inglese di tradizione anglicana offrirà in proposito una cerniera di raccordo inserendo la possibilità di vita extraterrestre nella sua teologia naturale (W. Derham, Astro-theology, London 1714). Maggiormente significativa sarà però la reazione che molti autori cristiani avranno nei confronti di un’opera di Thomas Paine (1737-1809), The Age of Reason (1793), la quale propugnerà per la prima volta, e in modo diretto, una radicale incompatibilità fra la religione cristiana e l’esistenza di vita intelligente extraterrestre, la cui scoperta, secondo Paine, condurrebbe inevitabilmente a sconfessarla. “Dovremo forse ammettere – affermava ironicamente – che ogni mondo in una illimitata creazione avrebbe un’Eva, una mela, un serpente ed un redentore? In tal caso, la persona che sarebbe irriverentemente chiamata Figlio di Dio, e talvolta Dio stesso, non potrebbe fare altra cosa se non viaggiare da un mondo all’altro ripetendovi una successione continua di morti, con a malapena qualche breve intervallo di vita”.

Non solo la critica di Paine non sarà condivisa da astronomi sinceramente credenti e favorevoli ad un’ipotesi pluralista come furono T. Wright, J. Lambert e lo stesso William Herschel, ma susciterà opere di teologi che intenderanno confutarne le tesi, come in Scozia T. Chalmers (Astronomical Discourses, 1817) e negli Stati Uniti T. Dwight (Theology Explained and Defended in a Series of Sermons, 1818). Ad essi si assocerà anche lo studioso scozzese T. Dick (The Christian Philosopher, 1823).

A favore dell’ipotesi di una pluralità di mondi abitati si schiererà apertamente nel XIX secolo l’opera teologica di Joseph PohleI mondi stellari ed i loro abitanti” (1884), rieditata più volte per circa un ventennio. Essendo l’universo fisico così esteso ed essendo il fine della creazione dare gloria a Dio, se ne deduce che tale gloria debba essere tributata da tanti esseri intelligenti disseminati per il cosmo e che, a differenza degli angeli che sono solo spirituali, mantengano una relazione con l’universo materiale, come potrebbero essere appunto gli abitatori di altri pianeti. Una eco di questa conclusione la si ritroverà ancora nel più diffuso manuale di teologia della metà del XX secolo (cfr. M. Schmaus, Katolische Dogmatik, München 1957, vol. II, n. 109). La posizione di Pohle sarà condivisa da vari scienziati suoi contemporanei, fra cui gli italiani Angelo Secchi e Francesco Denza, sacerdoti ed astronomi.

Teologia cristiana e vita extraterrestre – Prima Parteultima modifica: 2011-08-15T00:00:00+02:00da kattolika177
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