Teologia cristiana e vita extraterrestre – Terza Parte

header-foto.jpgPresentiamo un prezioso contributo del prof. Giuseppe Tanzella-Nitti, sacerdote e docente di Teologia fondamentale presso la Pontifica Università della Santa Croce. Da sempre interessato al dialogo interdisciplinare tra scienza e fede, è curatore del portaleDocumentazione Interdisciplinare tra Scienza e Fede. Di seguito un’ampia riflessione sulle sfide della teologia cristiana di fronte alla possibilità della vita extraterrestre. – TERZA PARTE – 

Teologia cristiana e Intelligenze Extraterrestri: alcune piste di comprensione

Affrontare il tema della possibilità di una vita intelligente di origine extraterrestre, al di fuori cioè di quell’esperienza di unità del genere umano comune a tutto il messaggio biblico, riteniamo rappresenti per la teologia cristiana uno delle sfide più importanti in senso assoluto. Non deve pertanto sorprendere che molti interrogativi saranno forse destinati a restare aperti. L’unica analogia disponibile è lo studio del rapporto fra il cristianesimo e le altre religioni della terra, disciplina relativamente giovane, di importanza crescente in un’epoca di globalizzazione.

Lo studio di questo rapporto fornisce senza dubbio delle direttrici utili al nostro problema, come l’universalità salvifica dell’Incarnazione del Verbo, la singolarità dell’unione ipostatica, la necessità di non separare la ricchezza (e in qualche modo l’imprevedibilità) dell’azione creatrice e salvifica dello Spirito Santo dalla missione e dal ruolo del Figlio, cui lo Spirito deve necessariamente condurre. Il rapporto con le religioni viene allora solitamente inquadrato, non senza un comprensibile sforzo, in ciò che la teologia chiama “cristocentrismo inclusivista”, il tentativo cioè di rileggere implicitamente le altre religioni alla luce del mistero di Cristo. Si tratta però di una prima approssimazione, in quanto il tema della vita nel cosmo scavalcherebbe l’unità del genere umano, creato e redento in Cristo, ponendo un problema del tutto nuovo rispetto a quello, ad esempio, della scoperta degli indiani d’America, per i quali Paolo III (1534-1549) non ebbe difficoltà a riconoscere l’appartenenza alla discendenza di Adamo. Non resta pertanto che avvicinarsi al problema per gradi.

1. Assenza di argomenti pregiudiziali contro l’ipotesi pluralista e ragionevolezza della posizione classica. 

Un primo punto fermo è che non vi sono, né da parte degli insegnamenti del magistero della Chiesa, né da parte della riflessione teologica, argomenti pregiudiziali che impediscano di ammettere tale possibilità. La volontà onnipotente e la libertà insondabile di Dio Creatore continuano ad essere un valido argomento in proposito, così come il riconoscimento del valore intrinseco della vita, in special modo della dignità della vita intelligente, ovunque essa si manifesti, partecipazione e riflesso di quella Vita con maiuscola che i credenti sanno risiedere in Dio stesso.

A ciò andrebbe aggiunto  quanto la tradizione ebraico-cristiana professa circa l’esistenza degli  angeli. Questa fede mostra che il senso della creazione non si gioca tutto sul rapporto fra l’uomo e Dio, ma “resta aperto su altre creature” le quali, pur dipendendo da Dio, hanno una storia ed un’economia di salvezza distinta da quella del genere umano. Tommaso d’Aquino, ad esempio, diede ragioni di convenienza per sostenere che il numero degli angeli sarebbe ingentissimo, tale da superare qualsiasi molteplicità materiale.

Ciononostante, la singolarità del genere umano come unica forma di vita intelligente nel cosmo rappresenterebbe per la teologia una soluzione “classica”, che non la obbligherebbe a ricomprendere un certo numero di aspetti della Rivelazione. Tale soluzione, va osservato, è anch’essa ragionevole, e non può qualificarsi a priori come antiscientifica. Oggi sappiamo che la grandezza dell’universo fisico non risponde ad una sorta di “ridondanza”, ma è legata ad una necessità di origine antropica: ai lunghi tempi necessari per produrre nelle stelle gli elementi chimici indispensabili alla vita corrispondono inevitabilmente anche degli enormi spazi.

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Come conseguenza ne risulta indebolito sia l’argomento probabilistico che parte dalla constatazione della grandezza del cosmo, ma anche l’argomento teologico sulla convenienza che molteplici esseri intelligenti siano creati per dare gloria a Dio in regioni in cui non potrebbe farlo l’uomo. In un universo in espansione – l’unico che può condurre alla formazione di strutture e di ambienti adeguati alla vita – il lungo tempo richiesto dall’evoluzione biologica si traduce necessariamente in un grande spazio ed in una grande quantità di materia formata o in formazione. In un simile universo è tanto ragionevole ammettere la simultanea comparsa di molte civiltà quasi coeve, come quella di una sola.

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La teleologia messa in luce dal principio antropico non offre conclusioni sulla molteplicità o sulla  singolarità della vita intelligente, ma solo sui tempi necessari alla sua comparsa e sul legame non accidentale con la struttura dell’universo nel suo insieme. Non conoscendo le “ragioni ultime” dell’origine della vita, la scienza non può sapere se essa risponda ad un imperativo categorico o se sia un evento altamente improbabile: dunque, anche equazioni come quella di Drake, sono geneticamente destinate a computare condizioni “necessarie”, ma non “necessarie e sufficienti” alla presenza della vita intelligente. In assenza di altri dati che richiedano nuove soluzioni in un quadro interpretativo più ampio, una teologia che volesse conservare la sua soluzione “classica” non potrebbe per questo essere accusata di irragionevolezza.

2. Universalità dell’immagine di Dio uno e trino in un contesto cosmico.

Come secondo punto fermo va segnalato che l’immagine di Dio consegnata dalla tradizione ebraico-cristiana non è geocentrica, né antropocentrica: essa si rivela universale e trascendente, soggetto di una onnipotenza creatrice la cui portata è senza dubbio di ordine cosmico e certamente non locale. Ma nel contesto della vita libera e cosciente, anche l’immagine trinitaria si presenta con i caratteri dell’universalità: lo sono l’esistenza di una paternità e di una filiazione, la cui intelligibilità è legata proprio al processo generativo comune ad ogni vivente, e lo è l’esistenza di un Amore-Dono, lo Spirito Santo, la cui comprensione rimanda all’idea di comunione, di altruismo e di donazione, che non è certamente estranea alla dinamica di una vita cosciente.

Ciò basterebbe a scartare l’opinione che la teologia cristiana, per aprirsi alla possibilità di una vita intelligente nel cosmo, debba inevitabilmente accantonare la propria immagine di Dio, disponendosi così ad una sorta di nuova “rivoluzione copernicana”, che induca le civiltà dell’universo (analogamente a quanto alcuni, come John Hick, vorrebbero facessero oggi le diverse religioni della terra) a cessare di ruotare attorno al proprio Dio, per cominciare tutti insieme a ruotare attorno ad un Dio comune, ma sconosciuto.

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Ogni credente in Dio vedrebbe un eventuale incontro con una civiltà non terrestre come un’esperienza certamente straordinaria; sarebbe tendenzialmente incline a manifestarvi un senso di rispetto, a riconoscervi un’origine comune, una possibilità nuova di comprendere meglio i rapporti di Dio con l’intero creato. Un simile incontro, e forse il successivo dialogo, non potrebbero non avere una dimensione “religiosa”, nel senso più naturale del termine. Allo stesso tempo, ci pare importante segnalare che un credente rispettoso delle esigenze della ragione scientifica non sarebbe per questo obbligato a rinunciare alla propria fede in Dio solo sulla scorta di nuove informazioni di carattere religioso provenienti da civiltà extraterrestri. 

La ragione lo spingerebbe in primo luogo a sottoporne il contenuto ad un’analisi di ragionevolezza (analogamente a quanto siamo abituati a fare sulla terra); una volta verificatane in qualche modo l’attendibilità, dovrebbe sforzarsi di comporre tali nuove informazioni con le verità che egli conosce e crede sulla base della rivelazione del Dio uno e trino, operando una rilettura inclusiva dei nuovi dati, analoga a quella che si applicherebbe in un ordinario dialogo interreligioso.

In senso più generale, un simile contatto non può essere considerato una sorta di verifica della validità della coscienza religiosa dell’umanità. Da parte loro, gli umani non hanno dato alcuna informazione di tipo religioso nei “messaggi in bottiglia” che sono stati inviati al di là del sistema solare, nonostante la gran maggioranza dei terrestri credesse nell’esistenza di un Creatore del cielo e della terra. In una prospettiva materialista, l’idea che un nostro ingresso nel Club delle Galassie libererà l’uomo da una fase religiosa infantile, rendendoci definitivamente consapevoli del nostro vero posto nell’universo, può essere suggestiva, ma è in realtà assai ingenua. La maggior parte dei grandi temi esistenziali, e quindi religiosi, della vita umana sulla terra, non verrebbero risolti dagli amici di questo Club.

3. Una capitalità cosmica, e perciò creaturale, del mistero di Cristo.

Se il mistero dell’Incarnazione rimanda ad una capitalità cristocentrica e non geocentrica, allora esso può essere esplorato ed espresso con categorie cosmiche ed universali, non antropologiche. Il terzo punto fermo dovrebbe dunque essere, a nostro avviso, il valore rivelativo e salvifico universale, e non solo locale, dell’Incarnazione. La capitalità di Cristo, Dio-uomo, sulle creature angeliche (cfr. Eb 1,3-14 e 2,5-18) andrebbe interpretata come rivelativa della sua capitalità su tutte le possibili creature (cfr. Ef 1,10; Col 1,20). La grandezza in certo modo infinita dell’unione ipostatica fa sì che anche il sacrificio vicario di Cristo abbia un valore meritorio infinito. 

Come questo sia applicabile all’intero universo resterebbe per la teologia cristiana un mistero, ma non è moltiplicandolo che se accresce l’efficacia. La celebrazione della santa Messa, ad esempio, applica in tempi e in luoghi diversi i frutti di quel medesimo evento storico, senza moltiplicarlo. Riteniamo, contrariamente a quanto suggerito da altri autori, che una simile partecipazione di salvezza ed efficacia su un piano cosmico – ove questa fosse necessaria per altri esseri intelligenti e liberi – non possa dipendere né da uno slancio missionario interplanetario, né da una comunicazione mediata (sebbene questi fattori possano e forse debbano operare).

Essa potrebbe dipendere solo da un’economia guidata dallo Spirito Santo, anch’essa operante con modalità a noi sconosciute, ma certamente l’unica in grado di assicurarne l’universalità e l’interiorizzazione. Analogamente a quanto avviene nell’economia salvifica terrena, lo Spirito condurrebbe ancora al Figlio e lo renderebbe in qualche modo presente. Il tutto, nella logica convinzione che il Creatore abbia in ogni luogo i suoi modi di farsi riconoscere, e forse anche di farsi presente presso le sue creature.

Sulla storia personale di eventuali esseri intelligenti, responsabili della loro libertà di fronte all’unico Dio, Padre e Creatore di tutti (cfr. Ef 4,6), non possiamo dire nulla. Possiamo però affermare che, in quanto creature, il mistero di Cristo, Verbo incarnato, non è a loro estraneo. Dio ha assunto in Cristo un natura creata, una volontà ed una libertà finite, facendo propria l’esperienza del limite e della creaturalità e ciò ha un valore che va certamente al di là della creatura “umana” in quanto tale. Ma Cristo ha assunto su di Sé anche la realtà della morte e ne ha rivelato la non ultimità, prefigurando nel suo corpo risorto un destino che appartiene all’intero universo e non solo all’uomo.

Ma quale risonanza avrebbe questo per altre creature i cui rapporti originari ed originanti con Dio noi ignoriamo? In una prospettiva in cui la morte biologica fosse una conseguenza che dipende in modo diretto, totale ed esclusivo dal peccato originale di Adamo, non avremmo più nulla da dire e resteremmo comunque in attesa di un chiarimento teologico che migliori la nostra comprensione delle cose. In una prospettiva che lasciasse invece un maggiore spazio di manovra, il termine del ciclo vitale di un essere creaturale, non necessariamente legato ad un peccato d’origine, potrebbe essere visto come il luogo dell’accettazione cosciente della sua creaturalità e finitezza, il luogo di un’esperienza suprema, alla quale la morte della vera umanità di Cristo sulla croce avrebbe allora ancora molto da dire, così come la sua resurrezione.

teologia,cristianesimo,vita extraterrestreSul grande tema del rapporto fra peccato e libertà, coinvolgendo la storia personale di altri esseri, come già segnalato, non è possibile formulare ipotesi deduttive. Negli unici due casi che la teologia conosce per induzione, il genere umano e le creature angeliche, questa associazione si è sempre verificata. Se il peccato non appartiene certo alla perfezione della libertà, la possibilità di incorrervi pare esserne almeno una condizione, ed anche questo contribuirebbe a rendere la redenzione cristiana meno estranea ad eventuali creature libere che non discendano dal primo uomo.

Non riteniamo che il dibattito sulla vita extraterrestre costituisca per la teologia cristiana il luogo determinante della sua verifica critica, sebbene rappresenti uno straordinario stimolo ad accrescere l’intelligibilità di alcune sue formulazioni. Esistono, come segnalato, alcuni punti fermi ed alcune piste di riflessione. Ed esiste una soluzione “classica”, quella dell’unicità del genere umano, che in assenza di prove stringenti non parrebbe corretto considerare obsoleta semplicemente sulla base della apertura di orizzonti recata dalla cosmologia contemporanea. Una soluzione diversa richiederebbe un lavoro di ricomprensione che, analogamente a quanto avviene in fisica con le soluzioni quantistiche o relativistiche, sia capace di mantenere molte delle verità contenute nella soluzione classica, rivelandone un ambito più ristretto di applicazione, oppure comprendendole in un contesto più generale. L’ultima parola sulla questione della vita extraterrestre non spetta alla teologia, ma alla scienza. L’esistenza di vita intelligente in pianeti diversi dalla terra non viene né richiesta né esclusa da alcun argomento teologico: alla teologia, come a tutta quanta l’umanità, non resta che attendere.

Leggi: Teologia Cristiana e vite extraterrestre – Prima Parte

Leggi: Teologia Cristiana e vite extraterrestre – Seconda Parte

Teologia cristiana e vita extraterrestre – Terza Parteultima modifica: 2011-08-29T00:00:00+02:00da kattolika177
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