Godgames: giochiamo a fare Dio?

god-of-war-videogame.jpgImpazzano i godgames, videogiochi in cui i ragazzi si calano nei panni di entità divine mutuate dalle più disparate tradizioni culturali.

Obiettivo? Governare il mondo, decidendo sulla sorte dei suoi abitanti. E distruggere i nemici, senza alcuna pietà.


Li chiamano godgames, letteralmente “giochi da dio”. Alcuni sono videogiochi che mettono il giocatore nei panni di una divinità che esercita una supervisione rispetto a un ambiente simulato. Altri sono narrazioni di azione e lotta, nelle quali è protagonista il simulacro di un dio pagano, mero spunto per attribuire a chi gioca poteri speciali attraverso i quali proseguire l’avventura: a volte questo dio è un’entità colonizzatrice dalle infinite forme, altre un gigante conquistatore, altre ancora un soffio, spesso violento e vendicativo, un miscuglio indefinito ispirato all’antica religione greca, allo zoroastrismo, ai miti nordici o a cosmogonie inventate di sana pianta. La lista, lunghissima, va fiera di alcuni rinomati successi. E merita d’essere presa in esame.

Cominciamo col “blando” Sim Ant

videogiochiIl videogioco, presente in varie versioni, simula una colonia di formiche nere che deve combattere contro quelle rosse. L’obiettivo è quello di conquistare spazi all’interno del giardino, penetrare nella casa fino a cacciar via i padroni umani. La formica-giocatore può controllare le altre, raccogliere cibo, sassi, distribuire viveri al formicaio, attaccare i nemici, ragni, bruchi. Ha anche la possibilità di espandere la colonia facendo accoppiare le regine con i fuchi.

 

 

Populous

videogiochiSimile negli obiettivi, diverso nella forma, Populous: qui il giocatore assume il ruolo di una divinità, appunto, e deve guidare il suo popolo con lo scopo di sterminare i nemici che sono devoti a una divinità rivale. I due popoli si distinguono con vestiti verdi e blu. Una vera battaglia, fatta di strategie ma anche di odio e violenza. Nella versione numero tre, Popubus: The Beginning, il giocatore non ha più il ruolo di un dio, ma di una scia-mana, che guida direttamente il proprio popolo in battaglia.

 

 

Black & White

videogiochiPiù “sottile” Black & White. Qui il protagonista-dio sorveglia un’isola popolata di tribù (giapponesi, tibetani, greci, pellerossa) e tramite una mano chi conduce il gioco compie “miracoli”: sposta oggetti, sveglia i personaggi, scatena fenomeni naturali di vario tipo. La particolarità? Quando si lavora per il Male il dispendio di energia è minimo, mentre se si lavora per il Bene tocca compiere uno sforzo enorme.

Alcuni pareri

«Si tratta di tre esempi di giochi “gestionali” – spiega Luca Milani, ricercatore in psicologia dello Sviluppo presso l’Università Cattolica di Milano -. In questi il “giocatore-dio” ha libertà di scelta morale, riflette sulle proprie azioni e sulle conseguenze che ne derivano: se allago un formicaio, le formiche moriranno e si potrebbe anche determinare uno squilibrio ambientale». I loro punti di forza? «Attivano le aree cerebrali del simbolismo, delle scelte etiche», spiega Milani. Anche se poi, proprio come in Black & White, dovendo impiegare molta più energia per raggiungere risultati positivi, il dio-giocatore può finire per privilegiare odio rabbia, vendetta, violenza, orgoglio, «trasformandosi nell’entità che tende a sopraffare tutti per il proprio vantaggio personale».

Il che accada sempre, invece, nel caso dei giochi d’azione, in cui protagoniste sono divinità violente dai superpoteri: qui il giocatore compie una serie di atti sanguinari, è concentrato su pensieri ostili e vive sentimenti aggressivi. E il caso di God of War. In scena la storia di Kratos, eroe incapace di accettare la sua passata sconfitta con i barbari e che viene salvato solo in cambio della cessione della sua anima al dio della guerra, che poi ne farà un suo schiavo. La sua forza brutale gli consente di recarsi nel deserto delle anime erranti per trovare il famoso Vaso di Pandora, il contenitore di tutti i mali. Che poi gli permette (piuttosto insensatamente) di vendicarsi di tutto e tutti: da Icaro ad Adante passando per Zeus in persona! «La lotta all’ultimo sangue influenza negativamente l’interpretazione che il giovane elabora sul senso della vita, del divino — spiega Marco Marcellini docente di Editoria multimediale all’Università di Arezzo — : non a caso le stesse case produttrici sconsigliano questi giochi ai minori di 18 anni».

C’è, a volte, anche la negazione di ogni valore teologico ed etico dei testi sacri. «In Bible Fight ad esempio, il giocatore organizza combattimenti all’ultimo sangue tra personaggi del Nuovo e Vecchio Testamento: Eva contro Mose o Gesù contro Satana, per poi arrivare allo scontro finale contro Dio in persona. Il potere dissacrante e irriverente di giochi come questo appare quindi chiaro». Il fatto spiacevole è che “divino” e “violenza” finiscono per essere utilizzati solo come elementi evocativi per i giovani, portandoli a trattare il primo concetto alla stregua di un elemento fantasy, e a desensibilizzarsi rispetto al secondo, per virtuale che sia.

Ecco, dunque, la necessità per i genitori di accompagnare i ragazzi nel gioco (proprio come dovrebbero fare nella navigazione online), incalzandoli in questo caso con domande del tipo: cosa succede se compi questa azione? E se tu attivassi questo comportamento nella vita reale che tipo di conseguenze avresti? Ti piacerebbe ricevere quel che stai facendo agli abitanti di quel villaggio? A volte, nel videogioco, è possibile superare l’impasse con strategie e trucchi non violenti. Il genitore dovrebbe incoraggiare queste scelte.

«Oltre alla condivisione di valori etici, padri o madri dovrebbero poi intervenire durante le partite per controllare che i minori non vengano esposti a scene di violenza o sesso non adatte all’età», aggiunge lo psicologo Milani.

Un altro rischio dei godgames

Che si aggiunge, peraltro, a quello ben più preoccupante del furto dei dati della carta di credito o di dati bancari della famiglia. «Alcuni di questi giochi, specialmente quelli gratuiti che si trovano interamente online richiedono un collegamento ad Internet sempre attivo durante le fasi del gioco e consentono di “acquistare” poteri speciali e armi invincibili per affermare la propria supremazia sugli altri giocatori – avverte Marco Marcellini —. Niente di più facile quindi che il giovane gamer, tentato dalla speranza di vittoria sugli avversari, inserisca il numero della carta di credito di mamma o papà, causando costosi e involontari addebiti in banca».

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Godgames: giochiamo a fare Dio?ultima modifica: 2012-02-23T00:05:00+01:00da kattolika177
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