L’archeologia è un lavoro sporco. Non si può fare a meno di scavare buche, nella terra, nella sabbia o nella foresta pluviale. Oggi però esiste un modo nuovo per cercare, che non richiede l’uso di pale.
Nello spazio, a circa 600 chilometri di distanza, i satelliti scattano immagini che vengono utilizzate per identificare con estrema precisione i siti archeologici sepolti.
Come nell’esplorazione diagnostica medica, che consente agli specialisti di esaminare parti del corpo altrimenti non visibili, le immagini satellitari aiutano gli scienziati a ritrovare fiumi, strade e città scomparsi da tempo, nonché a identificare aree archeologiche in zone di guerra troppo pericolose da visitare in persona.
“L’esplorazione sul campo non è sufficiente”, sottolinea Sarah Parcak, archeologa dell’University of Alabama a Birmingham, pioniera dell’uso delle immagini satellitari in Egitto. “Abbiamo scoperto solo una minima parte dei siti archeologici del mondo, meno dell’uno per cento”.
Ma Parcak ha intenzione di alzare quel tasso, e dopo migliaia di ore di lavoro ha imparato a vedere ciò che l’occhio umano normalmente non vede. Il suo segreto è scrutare nello spettro dell’infrarosso, invisibile a occhio nudo. [Un’archeologa scopre possibili piramidi sconosciute grazie a Google Earth].
Le immagini satellitari le permettono di individuare impercettibili variazioni della superficie causate da oggetti, come i mattoni di fango, sepolti a meno di un metro sotto terra. Nel 2011, grazie alle immagini satellitari nell’infrarosso, Parcak e la sua équipe hanno identificato sul territorio egiziano 17 presunte piramidi sepolte, circa 3.000 insediamenti e 1.000 tombe.
Nella città di Tanis, fondata 3.000 anni fa, un tempo capoluogo sul delta del Nilo, ha trovato le prove dell’esistenza di centinaia di case. “Da terra non si vede niente”, dice. “Una montagna di fango e terra ricopre tutto”. [Scoperta una porta segreta a Machu Pichu: gli archeologi vogliono entrare].
Dopo aver esaminato le immagini per alcuni giorni “è saltata fuori questa mappa straordinaria”, spiega la studiosa. Con le tecniche tradizionali di scavo probabilmente ci sarebbe voluto un secolo per elaborare un simile piano della città.
Lo scavo “vecchio stile” è comunque necessario per confermare le scoperte di questa nuova tecnologia e a Tanis un’équipe francese è già al lavoro sul campo. Quando si tratta di archeologia, guardare da lontano è fondamentale, ma non c’è niente che possa sostituire la presenza sul campo. [nationalgeographic.it]